Qual è il modello di copertura dei costi della salute nel 2050?
La community di InTheBoardroom è un luogo privilegiato di persone ben istruite, di successo e con buona capacità di influenzare chi guarda a noi e ci osserva. Proprio per questo motivo, a mio parere, dobbiamo esercitare questo ruolo, aumentando la consapevolezza e stimolando la riflessione su tematiche che appaiono “alte”, ma in realtà toccano il quotidiano – e il futuro – di tutti.
Il mondo delle scienze della vita sperimenta un periodo di grandi innovazioni, frutto della convergenza tra i progressi della scienza e della tecnologia. Ma la capacità dei Paesi avanzati di dare risposte adeguate ai bisogni di copertura sanitaria futuri dipende dalle decisioni che prendiamo oggi.
L’Italia è un Paese che sta invecchiando e, in assenza di cambiamenti sulla struttura della popolazione, questo trend proseguirà in modo accelerato. Siamo il primo Paese in Europa per aspettativa di vita: già oggi 13,5 milioni di persone hanno più di 65 anni, tra 25 anni rappresenteranno almeno il 33% della popolazione.
La buona notizia è che viviamo molto più a lungo. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Innanzi tutto, i costi legati alla cura e alla salute non sono democratici: il 40% dei malati in Europa assorbe infatti oltre il 75% delle spese sanitarie. Questo implica che il concetto di universalità di cura è messo fortemente in predicato.
Inoltre, per curarsi occorrono sempre più risorse economiche. Nel 2018 in Italia la spesa sanitaria pubblica ha raggiunto i 115 miliardi di euro (pari al 6,5% del PIL) a cui si aggiungono circa 40 miliardi di spesa sanitaria privata. Di questi, solo una minima parte è riconducibile all’intervento di fondi, casse sanitarie e assicurazioni, mentre ben il 90% è pagato di tasca propria dalle famiglie, rispetto al 41% della Francia e al 55% della Germania. Questa è una delle ragioni per cui quasi un italiano su due rinuncia ad alcune forme di cura, e ben il 10,2% a quelle più importanti.
La Corte dei Conti stima che entro il 2025 saranno necessari 20-30 miliardi di euro aggiuntivi per coprire la nuova domanda di salute della popolazione italiana. Che queste risorse possano arrivare dal sistema pubblico è abbastanza improbabile, che possano essere interamente sostenute da famiglie e individui, altrettanto.
Il “mercato” globale della salute sta diventando il grande business del futuro, in cui tecnologia e scienza giocheranno un ruolo fino a oggi inimmaginabile, in una logica di precision health anziché di one fits all. Su questo mercato si misurano start-up digitali (14,6 miliardi di dollari di investimenti a livello globale nel solo 2018), ma non solo:
• Google Ventures sta investendo il 36% dei suoi 2 miliardi di dollari di portafoglio in start-up dedicate alle scienze della vita, inclusi parecchi ambiziosi progetti per allungarne l’aspettativa.
• Sempre Google, insieme alla multinazionale farmaceutica Novartis sta sviluppando una lente a contatto in grado di misurare i livelli di glucosio nel sangue con un intervallo di una manciata di secondi analizzando la composizione delle lacrime.
• In un recente esperimento un algoritmo informatico ha correttamente diagnosticato il 90% di casi di cancro ai polmoni che gli erano stati sottoposti, mentre i medici non erano riusciti ad andare oltre il 50% del campione.
• Nel 2011 ha aperto a San Francisco una farmacia gestita da un solo robot. Durante il primo anno di attività il farmacista robotico ha evaso due milioni di prescrizioni senza commettere un singolo errore. In media, i farmacisti in carne ed ossa non interpretano correttamente l’1,7% di tutte le ricette. Solo negli Stati Uniti ammontano a più di 50 milioni le prescrizioni errate ogni anno.
Un altro paio di esempi, questa volta italiani:
• Movendo, start-up nata dalla collaborazione tra Dompè e l’Istituto Italiano di Tecnologia, ha lanciato di recente un servizio robotico di prevenzione che, utilizzando l’intelligenza artificiale, predice con un’accuratezza del 95% in 20 minuti la principale causa di morte e infortunio dell’anziano: la caduta. La valutazione, denominata «silver index», identifica anche le cause e suggerisce protocolli di riabilitazione-prevenzione.
• Pillcam 2, all’apparenza una normale pillola, è un sofisticato strumento per la diagnosi non invasiva, e soprattutto indolore, di patologie intestinali che in genere richiedono una colonoscopia per essere diagnosticate. Tecnicamente si tratta di una videocapsula endoscopica, contenente due videocamere miniaturizzate in grado di filmare e ingrandire quello che si vede durante il “viaggio” attraverso l’intestino. Nel reparto di Gastroenterologia dell’Ospedale di Ravenna ha sostituito la tradizionale colonscopia.
Cosa può significare tutto questo in termini di mutazione strutturale della value-chain sanitaria e assistenziale? Possiamo ancora parlare di prevenzione, concetto base della medicina e delle assicurazioni, oppure siamo già andati oltre e aspiriamo alla predizione?
Come garantiamo inoltre che l’individuazione di fattori di rischio con un livello di altissima precisione su ogni singolo individuo, resa possibile dall’analisi di enormi quantità di dati, non porti a un definitivo abbandono del concetto di mutualità? Concetto che è sempre stato alla base del costrutto sociale e dei meccanismi di diversificazione del rischio delle compagnie assicurative che, se spinto all’estremo, potrebbe portare a decidere di non proteggere più chi è a maggior rischio?
È indubbio che serva un nuovo patto tra tecnologia e sistema della salute, ma anche tra settore pubblico (che non riesce più a coprire e finanziare i bisogni), soggetti erogatori di prestazioni, servizi e farmaci e individui. Non è un’equazione di facile soluzione, quella che abbiamo davanti, ma comprendere le logiche del sistema futuro aiuta a capire i meccanismi di copertura da attivare. All’interno di questo nuovo assetto il mondo del welfare e il settore assicurativo potrebbero apportare il giusto equilibrio.
Roberta Marracino