Usare la scienza per inventare il futuro

Usare la scienza per inventare il futuro

La mia storia comincia da bambina, nelle mani di un padre inventore. Attraverso mio padre ho imparato da subito che quando vuoi capire come funziona una cosa devi prima smontarla e poi provare a rimetterla insieme. Facendolo un sufficiente numero di volte, cominci a capire come trovare soluzioni vere, fisiche e tangibili ai problemi che ti circondano. Quando poi quell’oggetto ha un’interfaccia digitale, allora il gioco diventa davvero divertente perché puoi riprogrammare l’oggetto cambiando il suo codice e decidere di fargli fare quello che vuoi tu. Se state pensando che questa è una cosa meravigliosa da fare con un genitore, avete ragione. Purtroppo è anche sempre stato l’unico modo di legare con mio padre, ma questa è un’altra storia.

Il mio passato da assistente inventrice provetta ha iniziato a tramutarsi in un percorso tutto mio quando all’età di tredici anni è venuto a mancare mio nonno per un motivo chiamato metastasi polmonare. Cercando di capire come fosse possibile che un sistema così resiliente e robusto come il fisico umano potesse improvvisamente crollare, ho cominciato a fare delle ricerche. È stato in quel momento che ho capito che il linguaggio della biologia non era per niente diverso da quello che fino a quel momento mi divertivo ad hackerare con mio padre. Esiste un’interfaccia hardware, il corpo, che segue regole di meccanica, elettronica e fluidodinamica, ma esiste anche un’interfaccia programmatica, il DNA, che segue le regole della genetica e dell’epigenetica. Così ho deciso di intraprendere un percorso accademico diverso da quello dell’ingegnere, che avevo immaginato sin da piccola insieme a mio padre, per buttarmi nel misterioso e affascinante mondo della biologia e della genetica prendendo prima una laurea in Biotecnologie Genomiche alla Sapienza e poi un dottorato di ricerca in Bioinformatica all’Università di Cambridge. Questo percorso accademico così fortemente strutturato mi ha dato tanto a livello scientifico, ma un’esperienza alla NASA avrebbe a breve cambiato la mia vita.

Durante il mio dottorato, nel tentativo di capire l’essenza del rapporto tra macchina e uomo, le mie letture mi avevano portata alla biografia di un signore chiamato Ray Kurzweil, che nel 2002 è entrato nella Hall of Fame degli inventori americani, oggi è direttore di ingegneria a Google e nel 2009 ha fondato, insieme a Peter Diamandis, una scuola chiamata Singularity University alla NASA. La missione della Singularity University è quella di utilizzare le tecnologie a crescita esponenziale, ovvero quelle tecnologie per cui una caratteristica come il costo o la potenza di calcolo si moltiplica nell’unità di tempo, per migliorare la vita di oltre un miliardo di persone affrontando temi come la povertà, la scarsità di cibo e di acqua potabile, l’uso di energie rinnovabili, educazione uguale per tutti e il riciclo delle risorse finite del pianeta. Leggendo di questa meravigliosa scuola con sede alla NASA, ho deciso di fare domanda e sono stata selezionata. Così ho trascorso tutta l’estate del mio secondo anno di dottorato in California, con una classe di 80 studenti tra imprenditori e scienziati provenienti da 50 Paesi diversi che giornalmente interagivano con gli astronauti della NASA e i maggiori imprenditori della Silicon Valley per fare brainstorming e ideare progetti ad impatto. Naturalmente nessuno di noi, nemmeno negli anni successivi, è mai riuscito a migliorare la vita di oltre un miliardo di persone, ma abbiamo cominciato a costruire una cassetta degli attrezzi che riempivamo ogni giorno di strumenti diversi per provare a cambiare il mondo, ognuno a modo suo. Questa esperienza ha cambiato la mia vita perché mi ha permesso di capire che il mio futuro non sarebbe stato l’accademia ma fare impresa tecnologica e attraverso quella avere un impatto sociale e ambientale.

È stato così che è nata la mia startup Solenica, un’impresa che ha l’obiettivo di riqualificare gli ambienti indoor (chiusi) in cui viviamo per migliorarli e renderli sempre più salutari attraverso l’uso della robotica. Questo ci permetterà non solo di cambiare attivamente la qualità di questi ambienti, ma di raccogliere dati importantissimi su come gli ambienti in cui viviamo sono in realtà in grado di cambiare noi stessi. Infatti, grazie all’enorme riduzione di costo dei sequenziatori di DNA (esempio di tecnologia a crescita esponenziale), la comunità scientifica sta scoprendo in questi anni che, diversamente da quanto stabilito precedentemente dalla genetica di Mendel secondo cui a un gene corrisponde un tratto specifico e immutabile, esiste un meta-mondo di regolazione del nostro DNA che non è indipendente dall’ambiente che lo circonda ma è invece da esso profondamente stimolato e influenzato. Dove viviamo, in altre parole, contribuisce tanto quanto i nostri geni a fare di noi ciò che siamo. 

Questa nuova frontiera, chiamata “epigenetica” (epì dal greco, “sopra”), descrive un mondo diverso, un mondo in cui l’uomo è intimamente legato al suo ambiente attraverso un rapporto imprescindibile che da una parte stabilisce l’essenza dell’individuo e dall’altra trova nell’individuo la sua rappresentazione ed espressione. Tra dieci anni potremo avere a disposizione sequenziatori di DNA talmente potenti ed economici da permetterci di fare un test genetico con la semplicità di un test per diabetici e questo ci porterà a misurare l’effetto sul nostro DNA di tutti i cambiamenti ambientali a cui saremo sottoposti o ci sottoporremo, dalla nuova varietà di vernice che useremo per pitturare la stanza, al trasferimento in una città magari molto più inquinata della precedente, all’adattamento necessario per vivere bene in un clima molto più caldo o molto più freddo del normale. Sicuramente l’emergenza climatica metterà in risalto questi temi in futuro e il progresso tecnologico ci darà l’opportunità di affrontarli con i dati di cui avremo bisogno per fare scelte informate e, possibilmente, lungimiranti. Sarà proprio l’aumento di consapevolezza del profondo legame genetico che unisce l’uomo a tutto ciò che lo circonda, a permetterci di avere una seconda chance su questo pianeta interpretando il mondo attraverso una lente diversa, stavolta con la messa a fuoco giusta, che vedrà dall’altra parte una civiltà che avrà capito come vivere in armonia con il suo ambiente e, quindi, sé stessa. Usare la scienza per inventare il futuro.

Diva Tommei